Durante i lavori di caratterizzazione dello strumento utilizzato per l’analisi spettrale della riga a 21 centimetri dell’idrogeno neutro e per lo studio dei fenomeni transienti (pulsar ed altro…), sono state programmate alcune scansioni radiometriche (Total-Power) del cielo alla frequenza di 1420 MHz con l’antenna orientata verso lo zenit, dati utili per calibrare lo strumento, misurare sperimentalmente la sua cifra di rumore e verificarne la stabilità rispetto alle variazioni giornaliere di temperatura. Trattandosi di un radio-spettrometro (vedi Spettri @ 1420 MHz), la stabilità in frequenza è garantita dalla qualità dell’oscillatore locale termostabilizzato, agganciato al riferimento temporale GPS, mentre i dati radiometrici sono stati calcolati integrando periodicamente, su una banda di 2.5 MHz e centrata sulla frequenza 1420 MHz, la media di un certo numero di spettri istantanei acquisiti tramite un software appositamente sviluppato. In questo ricevitore non sono quindi presenti blocchi fisici come il rivelatore e l’integratore: la misura radiometrica è eseguita dal software sugli spettri acquisiti in una opportuna sottobanda della banda base [0-10 MHz].
Le misure radiometriche, che stimano l’intensità media del segnale ricevuto all’interno della banda passante del ricevitore, sono erroneamente considerate banali da molti radioastronomi dilettanti ma, in realtà, nascondono diverse insidie. Queste, se ben inquadrate e risolte, rappresentano una vera e propria sfida tecnica e costituiscono un’importante “palestra” per apprendere le tecniche radioastronomiche di base. Infatti, nonostante la semplicità concettuale del radiometro, che utilizza una catena di amplificatori e di filtri (con eventuali convertitori di frequenza) seguiti da un rivelatore quadratico e da un integratore per calcolare la potenza media del segnale ricevuto, la corretta interpretazione della sua risposta è spesso difficoltosa e problematica a causa delle derive strumentali che si manifestano al variare della temperatura ambiente. Nei dispositivi ben progettati queste variazioni sono minime ma sufficienti, quando l’amplificazione è elevata, a generare importanti fluttuazioni nella risposta che rendono confusa l’interpretazione dei dati. Non si è mai sicuri se una deflessione osservata nel segnale di uscita sia dovuta alla variazione nella temperatura di antenna (quindi nella temperatura di brillanza dello scenario osservato) o a fluttuazioni spurie dello strumento. Variazioni nella temperatura di antenna corrisponderanno fedelmente a variazioni nella temperatura di brillanza del cielo se il diagramma di ricezione dello strumento, che dovrebbe essere noto, è caratterizzato da lobi laterali poco pronunciati e se l’antenna è posizionata in modo da captare il minimo rumore dal terreno, da alberi o da edifici: questo contributo indesiderato, spesso importante, è variabile con l’orientamento della struttura. Se, come in questo esperimento, l’antenna del radiotelescopio è fissa (punta sempre lo zenit), “vede” un’ampia zona di cielo libera da ostacoli e sfrutta la rotazione terrestre per scansionare il cielo, possiamo essere sicuri che le caratteristiche del campo di vista si mantengono invariate nel tempo: disturbi e derive strumentali a parte, le variazioni nella risposta del sistema dovrebbero essere ben collegate a variazioni nella temperatura di brillanza dell’area di cielo esplorata.
Le derive termiche che affliggono le misure radiometriche si minimizzano progettando adeguatamente i ricevitori, termostabilizzando gli strumenti (in particolare i dispositivi esterni soggetti alle fluttuazioni giornaliere di temperatura) e/o adottando contromisure di compensazione hardware e software (in tempo reale o dopo l’acquisizione dei dati). La seguente figura mostra la risposta del nostro ricevitore quando all’ingresso è collegato un carico adattato di riferimento a temperatura ambiente (una resistenza da 50 ohm, traccia blu) e quando è collegata l’antenna che “vede” una striscia di cielo allo zenit durante il suo moto apparente nel corso della giornata (traccia rossa). Anche se le risposte sono state registrate in giorni successivi, le condizioni meteo e la loro stabilità lasciano supporre che la deriva strumentale della traccia blu sia identica a quella che si è verificata il giorno 29 Luglio. Le variazioni termiche giornaliere producono derive strumentali (rappresentate dalla risposta del ricevitore quando l’ingresso è collegato al carico adattato) con ampiezza paragonabile alle variazioni della temperatura di antenna, creando difficoltà nell’interpretazione dei dati.
Il problema è stato risolto normalizzando al risposta di riferimento (traccia blu) e sottraendola alla risposta radiometrica effettiva (traccia rossa): si ottiene la risposta “vera” del radiotelescopio, corretta rispetto le derive. Questo principio, quando automatizzato, corrisponde al funzionamento del radiometro a commutazione Dicke-Switch, ben descritto in letteratura.
Successivamente è stato calibrato lo strumento con il metodo dei due punti, misurando la sua risposta quando l’antenna “vede” il cielo freddo in una regione libera da radiosorgenti (minimo della curva radiometrica corrispondente alle ore 12:00 nel seguente grafico) dove si stima una temperatura di antenna dell’ordine di 16 K (temperatura del cielo 6 K e circa 10 K di temperatura di rumore proveniente dai lobi laterali) e quando il ricevitore è collegato, alla stessa ora, al carico adattato (resistenza con temperatura fisica misurata di 30 °C – punto “caldo” di calibrazione). Con questo procedimento, valido se la risposta radiometrica del ricevitore è proporzionale alla potenza del segnale ricevuto, si è ottenuto il grafico finale della scansione giornaliera mostrato nella seguente figura.
Dopo queste operazioni possiamo essere ragionevolmente sicuri che la misura sia indicativa della vera distribuzione di brillanza della regione di cielo osservata. Il grafico, confrontato con la mappa del cielo alla frequenza di 1420 MHz, conferma le corrispondenze fra le varizioni della temperatura di brillanza nelle differenti rappresentazioni.