La radioastronomia, misteriosa e affascinante…
La radioastronomia studia il cielo analizzando le onde radio naturali emesse dai corpi celesti: qualsiasi oggetto con una temperatura superiore allo zero assoluto irradia onde elettromagnetiche misurabili che, in genere, si manifestano come un rumore incoerente ad ampio spettro.
Una radiosorgente è un emettitore naturale di onde radio: questo termine indica qualsiasi sorgente cosmica.
I radiotelescopi, strumenti che registrano il debole flusso radio proveniente dallo spazio extraterrestre, comprendono un sistema di antenna, linee di trasmissione e un ricevitore: l’elettronica amplifica il segnale captato dall’antenna fino a renderlo misurabile. Seguono dispositivi per l’elaborazione e la registrazione delle informazioni, organi per il controllo dello strumento e per l’orientamento dell’antenna. Una procedura di calibrazione (taratura) converte i segnali all’uscita dello strumento in valori di temperature di brillanza [K] o di unità di flusso [Jy].
Cenni storici
Nel dicembre del 1931 Karl Jansky, un ingegnere impegnato a studiare l’origine dei disturbi atmosferici che rendevano difficoltose le radiocomunicazioni a lunga distanza, scoprì la radiazione a 20.5 MHz proveniente dal centro della Galassia come “sottoprodotto” del suo lavoro. Egli utilizzò una particolare antenna orientabile (chiamata “giostra” per la sua caratteristica forma) e un ricevitore radio progettato per registrare il valore medio della potenza di rumore captata dall’antenna. Le seguenti immagini (riprese dagli articoli originali del 1932) mostrano la struttura dello strumento di Jansky e le sue registrazioni, dove si vede il ripetersi periodico dei massimi di emissione provenienti dalla regione celeste del Sagittario, al centro della Via Lattea. Questo è stato il primo segnale radio extraterrestre scoperto.
Il prototipo del moderno radiotelescopio, inteso come strumento costruito “ad hoc” per osservare il cielo, fu ideato pochi anni dopo da Grote Reber. Egli compilò una mappa della Galassia alla frequenza di 160 MHz, graficamente rappresentata con linee di identica potenza del segnale ricevuto in funzione dell’orientamento dell’antenna. Questa è stata la prima “radio-immagine” del cielo (Fig. 6).
Da allora, grazie allo sviluppo dell’elettronica e dei calcolatori, la radioastronomia si è distinta per una continua successione di scoperte. Sono stati realizzati strumenti impressionanti per complessità, prestazioni, dimensioni e costi. Una “passeggiata” sul web è molto istruttiva per documentarsi sulle caratteristiche dei radiotelescopi utilizzati nella ricerca scientifica.
Un pò di teoria…
In onore a Jansky è stata definita l’unità di misura della densità di flusso delle radiosorgenti:
1 Jy = 10-26 W/(m2 ∙ Hz)
Un radiotelescopio misura quindi la potenza radiante proveniente dal cielo (W) che incide sulla superficie di captazione dell’antenna (m2), compresa nella banda passante del ricevitore (Hz). In radioastronomia conviene esprimere la potenza di segnale raccolta dall’antenna in termini di temperatura di brillanza, proporzionale alla potenza irradiata dalla radioosrgente.
Se orientiamo l’antenna dello strumento in una data regione del cielo, in particolare verso una radiosorgente ben “visibile” rispetto al fondo, misuriamo un incremento nell’intensità del segnale proporzionale alla temperatura di brillanza di quell’oggetto, che coinciderà con la sua temperatura fisica solo se questo è un corpo nero, cioè un materiale (ideale) che assorbe perfettamente tutta la radiazione che lo investe, senza rifletterla. In natura non esistono corpi neri, ma si trovano oggetti che approssimano molto bene il loro comportamento, almeno entro una specificata banda di frequenze. Come osservò Reber, possiamo considerare il radiotelescopio come un termometro: la temperatura misurata dall’antenna, cioè la temperatura di brillanza, sarà proporzionale alla temperatura fisica della regione di cielo osservata secondo un coefficiente, caratteristico dell’oggetto radiante, detto emissività. L’emissività è una misura della capacità di quel materiale di irradiare energia ed è una funzione complessa delle caratteristiche chimico-fisiche della radiosorgente e della frequenza. Un corpo nero ha emissività uguale a 1, quindi una temperatura di brillanza coincidente con la sua temperatura fisica, mentre un corpo naturale (corpo grigio) ha emissività compresa fra 0 e 1, quindi una temperatura di brillanza inferiore alla sua temperatura fisica.
La tecnologia di un radiotelescopio è simile a quella di un comune apparecchio radio (come, ad esempio, un televisore, un’autoradio o un telefono cellulare), con prestazioni ottimizzate per misurare i debolissimi segnali provenienti dallo spazio profondo. La questione cruciale è che in radioastronomia occorre evidenziare il rumore prodotto dalle radiosorgenti (segnale utile) rispetto al rumore generato dall’elettronica del ricevitore e dall’ambiente (segnale indesiderato): questi “fruscii”, identici a quelli che ascoltiamo in una radio quando non è sintonizzata alcuna stazione trasmittente, hanno identica natura e sono, in linea di principio, indistinguibili.
Bisogna ricordare che l’atmosfera terrestre si comporta come una vera e propria barriera per la radiazione elettromagnetica proveniente dallo spazio: la misura diretta della radiazione cosmica è limitata a due “finestre” spettrali, quella compresa tra circa 0.3 e 0.8 micrometri (banda visibile) e quella compresa tra circa 1 centimetro e 1 metro di lunghezza d’onda (banda radio). La finestra radio è ulteriormente limitata verso le basse frequenze dagli effetti schermanti della ionosfera (particelle elettricamente cariche con proprietà riflettenti per le onde radio), verso le alte frequenze dai fenomeni di assorbimento molecolare dovuti al vapore acqueo e all’ossigeno. In pratica, l’intervallo delle frequenze utili per le osservazioni radioastronomiche da terra è compreso fra circa 20 MHz e 20 GHz, anche se alcune specifiche ricerche si svolgono oltre questi limiti.
Il radioastronomo dilettante
Ammirando l’imponenza strutturale e la tecnologia dei radiotelescopi professionali, per non parlare dei costi “astronomici”, è legittimo domandarsi se abbia senso parlare di radioastronomia amatoriale e, in caso affermativo, quali siano le sue reali possibilità di sperimentazione.
Da quello che sento in giro non sembra una disciplina molto conosciuta e, all’occhio inesperto, appare “oscura” e “poco spettacolare” rispetto ad altre tecniche osservative del cielo come, ad esempio, l’astronomia ottica.
C’è poi il problema della strumentazione. Bisogna essere esperti elettronici, così da realizzare tutto in casa? Non necessariamente.
Chi ha conoscenze pratiche di elettronica è, ovviamente, facilitato: sul web si trovano eccellenti progetti sulla costruzione di radiotelescopi dilettantistici. Inoltre, sono commercialmente disponibili moduli, kit, strumenti appositamente progettati per radioastronomia amatoriale con i quali è facile costruire un piccolo radiotelescopio per iniziare ad osservare il “cielo invisibile”: ogni persona di buona volontà può diventare un radioastronomo dilettante.
L’osservazione radioastronomica più semplice consiste nel determinare come varia l’intensità del segnale ricevuto durante il “passaggio” di una radiosorgente (ad esempio, il Sole o la Luna) nel campo di vista dell’antenna (registrazione al transito, Fig. 7). Si orienta il radiotelescopio nel punto celeste dove è previsto, nel suo moto apparente, il transito della radiosorgente e si attende la formazione della classica traccia “a campana” nel software di acquisizione.
Il passo successivo, più complesso e laborioso, prevede la registrazione dell’intensità del segnale proveniente dalle diverse direzioni di cielo. Collezionando con pazienza e metodo una serie di misure, si compila una radio-mappa della regione osservata. Ovviamente sono possibili osservazioni “ad inseguimento” come, ad esempio, quando si desidera studiare l’attività del radio-Sole. Questo richiede un’attrezzatura motorizzata e automatica per la gestione del sistema di orientamento dell’antenna, più complessa e costosa, ma ancora alla portata del radioastronomo dilettante, soprattutto se l’antenna non ha dimensioni eccessive.
Le domande che tutti, all’inizio, ci poniamo sono le seguenti:
- in quale banda di frequenze è meglio lavorare?
- Quali radiosorgenti sono osservabili con un piccolo radiotelescopio?
- Quando grande deve essere l’antenna per poter contare su uno strumento di “ragionevoli prestazioni”?
- Esistono requisiti particolari nella scelta del sito di installazione dello strumento?
- Quanto costa?
Le questioni sono collegate fra loro. Una discussione approfondita sul concetto di “ragionevoli prestazioni” per un radiotelescopio amatoriale ci porterebbe molto lontano, dato che queste dipendono dal tipo di ricerca che si intende svolgere, dalle proprie competenze e aspettative, dall’esperienza, dalle risorse finanziarie e di spazio disponibili. Come per qualsiasi disciplina, le aspettative di un neofita sono ben differenti da quelle di un esperto osservatore. In tutti i casi, anche utilizzando i radiotelescopi dilettantistici più sofisticati, le prestazioni ottenibili restano molto lontane da quelle degli impianti utilizzati nella ricerca ufficiale. Queste conclusioni sono valide anche in altri settori come, ad esempio, in astronomia ottica, ma in radioastronomia c’è qualche limitazione in più.
Infatti, utilizzando una terminologia semplicistica ma familiare, si può immaginare il nostro occhio come uno strumento “multi-pixel” che acquisisce istantaneamente un’immagine a colori ad elevata risoluzione dell’ambiente, sufficientemente dettagliata per le nostre esigenze di quotidiana sopravvivenza. Sistemi di amplificazione ottica e opportune geometrie di apertura incrementano la sensibilità dei nostri sensi per osservare meglio e più lontano.
Le lunghezze d’onda molto maggiori dei segnali radio e la necessità di utilizzare trasduttori specifici rende difficoltosa e non immediata la formazione di “radio-fotografie” del cielo: un radiotelescopio a singola antenna è uno strumento “mono-pixel”, la dimensione del quale è correlata al potere risolutivo dell’antenna, che misura la potenza media della radiazione proveniente da una singola area del cielo. Il potere risolutivo di un radiotelescopio quantifica la sua capacità di separare due oggetti vicini nello spazio, risolvendo dettagli strutturali: è un parametro proporzionale al rapporto fra la lunghezza d’onda della radiazione e le dimensioni fisiche dell’antenna ricevente. Non saranno distinguibili particolari angolari con dimensioni inferiori a questo rapporto. Ecco perchè i requisiti in sensibilità e nel potere risolutivo per un impianto radioastronomico comportano la realizzazione di antenne (o array di antenne) con dimensioni molto grandi.
E’ possibile ottenere una radio-immagine del cielo osservando simultaneamente quella regione con più radiotelescopi, oppure effettuando ripetute scansioni con un singolo strumento. Sono state sviluppate tecniche molto elaborate per gestire in tempo reale i segnali captati da gruppi di antenne che sintetizzano una ”radio-camera”: servono strumenti molto complessi, costosi ed estesi per ottenere dati di ”qualità visiva” paragonabili a quelli ottici. Tali difficoltà, ben note ai radioastronomi professionisti, appaiono insormontabili per i radioastronomi dilettanti. Per mettersi al riparo da possibili insuccessi e scoraggiamenti, chi inizia dovrebbe comprendere gli aspetti peculiari di questa disciplina e le possibilità di sperimentazione realmente accessibili.
Non siamo affatto scoraggiati: come si vede dalla seguente tabella, sono possibili molte e interessanti esperienze di radioastronomia amatoriale, spesso valido supporto alla ricerca scientifica.
Quali radiosorgenti?
I meccanismi che spiegano le emissioni delle radiosorgenti sono complessi, legati alle loro caratteristiche chimico-fisiche. E’ interessante catalogare gli oggetti radio più intensi del cielo e scoprire come varia la loro emissione al variare della frequenza (spettro della radiosorgente).
Tenendo conto dei limiti in sensibilità degli strumenti amatoriali, dovuti alle scarse dimensioni dell’antenna (la superficie di captazione della radiazione proveniente dal cielo è piccola), una prima ragionevole scelta sembrerebbe privilegiare le frequenze dove le radiosorgenti sono più intense e numerose.
Come si vede dalla Fig. 9, Sole (quieto) e Luna a parte che, grossomodo, si comportano come corpi neri nella banda radio, le altre radiosorgenti irradiano con maggiore intensità per frequenze inferiori a 1 GHz, con un meccanismo (non termico) secondo il quale l’intensità dell’emissione aumenta al diminuire della frequenza. Secondo questa considerazione sembrerebbe opportuno iniziare le prime osservazioni alle frequenze più basse.
Tuttavia, occorre considerare “l’affollamento” radio nella zona dove installeremo il radiotelescopio dovuto alla presenza di varie interferenze. I disturbi artificiali, molto intensi nelle zone urbane e industrializzate, sono la vera piaga della radioastronomia: lo spettro radio è praticamente saturo di segnali ed emissioni spurie di varia natura, molto più intensi di quelli cosmici.
Le più comuni sorgenti naturali di interferenza sono i fulmini, le scariche elettriche atmosferiche, le radioemissioni prodotte da particelle cariche nella parte superiore dell’atmosfera (disturbi ionosferici), le emissioni provenienti dai gas atmosferici e dalle idrometeore (pioggia e precipitazioni varie).
Le interferenze artificiali sono causate dai disturbi prodotti dalla distribuzione, dall’utilizzo e dalla trasformazione di potenza dell’energia elettrica, dalle trasmissioni radar per il controllo del traffico aereo militare e civile, dalle stazioni trasmittenti terrestri utilizzate per i servizi di diffusione radio e televisiva, dai trasmettitori e transponder sui satelliti artificiali, dalla rete telefonica cellulare e dalle stazioni militari.
Il seguente grafico dimostra come l’intensità dei disturbi artificiali e naturali diminuisca all’aumentare della frequenza: è quindi ipotizzabile l’installazione di un radiotelescopio operante a 10-12 GHz nel giardino o sul tetto della propria abitazione, in zona urbana, mentre è molto difficoltosa la ricezione alle frequenze più basse. In quest’ultimo caso, bisognerà scegliere una zona rurale, elettromagneticamente “tranquilla”.
Effettivamente, le scelte basate sull’analisi dello spettro delle radiosorgenti sono in contrasto con quelle derivanti dall’analisi spettrale dei disturbi. Se non ci sono vincoli imposti da specifiche ricerche, saranno decisive considerazioni di praticità tecnica e di economia.
Un radiotelescopio “per tutti”, dovrebbe essere facilmente realizzabile, economico e di immediato funzionamento: il nucleo centrale dello strumento dovrebbe essere un modulo progettato per la radioastronomia che comprende le parti indispensabili di un ricevitore radioastronomico. Lo sperimentatore completa lo strumento utilizzando componenti facilmente reperibili ed economici. Ciò è possibile grazie alla diffusione della ricezione TV satellitare nella banda 10-12 GHz e alla reperibilità di antenne, amplificatori, cavi e un’infinità di accessori, nuovi e di recupero. Un esempio è mostrato nella seguente figura:
Se consideriamo che, a parità di guadagno dell’antenna (è una misura della sua attitudine a captare deboli segnali in determinate direzioni dello spazio), le sue dimensioni (quindi il peso e l’ingombro) diminuiscono all’aumentare della frequenza, comprendiamo come sia semplice costruire il nostro primo radiotelescopio utilizzando una comune antenna a riflettore parabolico per TV-SAT funzionante a 10-12 GHz.
Con antenne di piccolo diametro saranno osservabili solo il Sole e la Luna. Però, essendo molto intensa la loro emisione, il loro studio rappresenta un’ottima “palestra” per familiarizzare con gli strumenti e con le tecniche radioastronomiche, verificando il corretto funzionamento dell’impianto in vista di osservazioni più impegnative. Per rivelare radiosorgenti più deboli, come Taurus, Cassiopea, Cygnus e Virgo, sono necessarie antenne di maggiori dimensioni, mantenendo invariato il resto del sistema.
Vorrei concludere con qualche cenno sulle tipologie di
Ricevitori per radioastronomia amatoriale
Un radiometro (ricevitore a potenza totale) è un ricevitore che misura (entro la sua banda passante) la potenza media della radiazione captata dall’antenna, mostrando come varia nel tempo. Il segnale all’uscita è funzione della potenza di rumore totale nel sistema, comprendente la componente utile (segnale radioastronomico) e quella indesiderata dovuta al rumore dell’antenna e del ricevitore. Il processo di rivelazione quadratica e la successiva integrazione, necessaria per ridurre le fluttuazioni statistiche del rumore rivelato, non conservano le caratteristiche spettrali del segnale.
Utilizzando ricevitori a larga banda (interferenze permettendo…) e stabili (il fattore di amplificazione e la caratteristica del rivelatore non dovrebbero variare durante la misura), si ottengono sensibilità molto elevate, soprattutto grazie alla possibilità di integrare il segnale rivelato con lunghe costanti di tempo se il fenomeno da studiare si mantiene sufficientemente stazionario nel tempo. L’integrazione di un segnale equivale al calcolo del suo valore medio utilizzando molti campioni.
Per lo studio dei segnali ricevuti nel dominio della frequenza, che evidenzia la loro “firma” spettrale individuando le componenti distribuite all’interno della banda passante del ricevitore, si utilizza un radio-spettrometro a scansione di frequenza o un radio-spettrometro FFT.
Il primo è un ricevitore a conversione di frequenza (principio dell’eterodina) dove è periodicamente scansionata la sua “finestra” di ricezione tramite un oscillatore locale a frequenza variabile che trasla, all’interno del canale a frequenza intermedia, una stretta porzione delle frequenze ricevute. Ad ogni passo di scansione, la potenza del segnale è misurata come in un radiometro. Terminata la scansione, avremo una rappresentazione completa dello spettro di potenza del segnale ricevuto.
La rappresentazione sarà tanto più accurata (e lenta) quanto più stretta sarà la banda passante del filtro di canale a frequenza intermedia rispetto alla banda di ricezione. Inoltre, maggiore sarà la costante di integrazione che esegue la media della potenza di canale, minore sarà l’ampiezza di rumore visibile nella traccia e ancora più lenta sarà la scansione. Questi parametri si ottimizzano in base alla variabilità temporale del segnale misurato e alla sensibilità richiesta per il ricevitore. Per ottenere anche l’informazione di fase delle varie componenti spettrali, come accade negli analizzatori vettoriali da laboratorio, sono necessari circuiti aggiuntivi.
Un radio-spettrometro a scansione di frequenza non analizza in tempo reale tutta la banda di ricezione: durante ogni periodo di scansione è misurata solo la piccola porzione di frequenze selezionata dall’oscillatore locale, ampia quanto la banda passante del filtro di canale a frequenza intermedia. Per catturare rapide variazioni nello spettro è necessario prevedere una scansione sufficientemente “agile”, al prezzo di una perdita di sensibilità dovuta all’utilizzo di un ridotto tempo di integrazione del segnale rivelato.
Molti radiotelescopi dilettantistici che analizzano il profilo della riga dell’idrogeno a 1420 MHz, ad esempio, operano secondo questo principio, utilizzando ricevitori per radioamatori come analizzatori di spettro a scansione di frequenza. Non sono richieste prestazioni elevate nell’elaborazione dei dati: l’uscita contiene già l’informazione sull’intensità di ogni componente spettrale. Si tratta di “digitalizzare” il segnale rivelato ad ogni passo di scansione con un convertitore analogico-digitale (ADC) non particolarmente veloce, gestendo il processo di misura tramite software dedicato residente sul computer di stazione.
Un radio-spettrometro efficiente utilizza tecniche numeriche per calcolare istantaneamente lo spettro del segnale presente all’interno della banda passante del ricevitore. Ciò è possibile grazie all’evoluzione dei moderni dispositivi elettronici e alla potenza di calcolo dei Personal Computer.
La struttura del radio-spettrometro FFT è concettualmente semplice, anche se tecnologicamente avanzata: tutta la banda passante del ricevitore (direttamente o dopo una traslazione in frequenza) è acquisita tramite un convertitore analogico-digitale veloce e i relativi campioni nel dominio del tempo sono convertiti in campioni spettrali (nel dominio della frequenza) da un processore che utilizza l’algoritmo matematico DFT (Discrete Fourier Transform), una versione numerica della trasformata veloce di Fourier (FFT). Si ottiene, così, lo spettro istantaneo dei segnali presenti all’interno della banda passante dello strumento. Se è presente un convertitore (verso il basso) della frequenza di ricezione, la purezza spettrale e la stabilità dell’oscillatore locale devono essere elevate per non degradare le prestazioni dello strumento. Il vantaggio di questo sistema è la possibilità di analizzare, in tempo reale (latenze di calcolo a parte), ampie larghezze di banda. Le effettive prestazioni del sistema dipendono, ovviamente, dalla capacità tecnologica dei dispositivi utilizzati (ADC veloci) e dalla potenza di calcolo del processore che esegue la DFT.
Uno strumento di questo tipo è utilizzato nel monitoraggio dei disturbi presenti nelle bande di frequenza di interesse radioastronomico, nel monitoraggio dei detriti spaziali e degli eventi meteorici (tecniche di tracciatura con radar), nello studio delle righe molecolari, nelle ricerche SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) e in molte altre applicazioni. Un esempio di registrazione del profilo della riga dell’idrogeno neutro a 1420 MHz ottenuta con un radio-spetrometro FFT è visibile nella Fig. 1.
Grazie alla diffusione delle architetture SDR (Software Defined Radio), all’incremento nella potenza di calcolo dei computer e alla possibilità di reperire sul web ottimi programmi gratuiti per l’analisi spettrale, è oggi possibile realizzare economici radio-spettrometri utilizzabili in radioastronomia amatoriale. Un esempio, ben documentato sul web, è visibile nella Fig. 15: si tratta di una chiavetta USB, originariamente prodotta come USB Digital TV Tuner Rceiver, modificata per ottimizzare la dissipazione termica e l’immunità ai disturbi esterni. Abbinando a questo dispositivo antenne, amplificatori a basso rumore e filtri si migliora la dinamica di ricezione e la selettività in particolari bande di frequenza. Sono reperibili sul web vari programmi gratuiti per trasformare questi dispositivi in “radio-scanner”.